Cultura e folklore
Poesie contadine: le rime tra i campi
Storie raccontate davanti al fuoco, poesie improvvisate e lunghi poemi recitati a memoria: la poesia pastorale dei Monti Sibillini
Le tenute dove in inverno venivano portate le pecore delle masserie a svernare erano sparse per tutta la maremma romana. Vi erano centinaia di tenute e qui, in capanne fatte di graticci, verghe di legno, canne di fiume, frasche e imbottite con la paglia trovavano riparo fino anche 20 pastori.
Al centro di questi rifugi c’era la cosiddetta “fornacetta” dove si faceva il fuoco e la sera, fatte tutte le faccende, ci si sedeva insieme e alla luce di una lanterna i pastori iniziavano a raccontare storie che avevano vissuto. Quasi sempre si parlava del periodo passato in guerra, al servizio di questo o quell’altro padrone, di altri pastori e Vergari rimasti nella memoria collettiva per alcuni fatti divenuti pubblici, di donne bellissime, spesso si parlava anche di avventure amorose con fate e loro ancelle.
Cover foto di Mattia Fringuelli
Le serate più movimentate erano sicuramente quelle in compagnia dei “pellicciai”. Un mese dopo la partenza dei pastori dalla Maremma questi si recavano a Roma ad acquistare beni vari, come coltelli, aghi, filo, bottoni, camicie, buste e fogli di carta per scrivere, qualche paio di pantaloni ma soprattutto avevano una serie completa di libri con i poemi cavalleresche che tanto piacevano ai pastori. Oltre alla vendita di queste piccole cose i pellicciai avevano un compito importantissimo: passando di capanna in capanna portavano e divulgavano le varie notizie che raccoglievano durante il loro giro, erano anche portatori di lettere che gli affidavano i parenti dei pastori rimasti in montagna o a servizio in altre masserie di pecore in altre zone, prendevano le lettere che con l’occasione del suo passaggio i pastori scrivevano alle loro famiglie in montagna che poi affrancava e spediva al passaggio in qualche cittadina lungo il suo itinerario. Quando i pellicci passavano per le capanne dei pastori dei Sibillini avevano, come era usanza, una razione di cibo che comprendeva una pagnotta di pane, ricotta a volontà, olio per l’acquacotta e polenta insieme agli altri pastori.
Una delle caratteristiche più endemiche che caratterizzavano i pastori dei sibillini era quella che tutti avessero la predisposizione a recitare poemi e a comporre poesie. Uno dei più famosi poeti pastori dei Sibillini fu Berettaccia, originario di Vallinfante, che nel diciassettesimo secolo compose in ottava rima un bel poema dal titolo la “Battaglia del Pian Perduto”. Poema che trattava della guerra tra Visso e Norcia per il possesso dei pascoli a nord di Castelluccio. Un altro famosissimo poeta pastore fu un certo Maccheroni, nato ai primi anni del 1800 in un paesino alle falde del Terminillo, il suo poema in ottava rima si intitolava la “Pastoral Siringa” e parlava della vita dei pastori.
Durante la mia esperienza pastorale, iniziata nell’anno 1965 e conclusasi nel 1967 nella masseria del Sig. Ghezzi, ebbi modo di constatare di persona l’abilità che i vecchi pastori avevano nel recitare poemi cavallereschi come La Gerusalemme Liberata, il Guerrin Meschino, La Pia dei Tolomei, e altri poemi classici e romantici. In ogni masseria di pecore c’erano sempre una ventina di cani maremmani, i nome che i pastori gli davano al momento di allevarli erano tutti di eroi della Gerusalemme Liberata, o del poema preferito, anche ai muli e ai cavalli della masseria venivano dati i nomi di questi eroi. Ho conosciuto un Cavallaio Castellucciano, che si chiamava Variste, il quale aveva una diecina di cavalli e muli, ad ogni uno dei suoi animali aveva dato un nome del poema del Guerrin Meschino. Anche mio padre, che era stato anche lui pastore nelle masserie di pecore dei mercanti di campagna, conosceva questi poemi ma non li cantava quasi mai, nella sua vecchiaia, rimasto solo, forse per combattere la solitudine li recitava spesso.
Rimasi meravigliato un giorno che era all’ospedale, siamo nell’anno 2009 e lui aveva già superato i 90 anni, andai a fargli visita e lo trovai che in piedi vicino al suo letto recitava la divina commedia a un gruppo di una ventina di persone tra malati e infermieri, questi in continuazione gli battevano le mani e gli chiedevano di continuare.
Durante il periodo passato nella masseria Sig. Ghezzi notai come i momenti nei quali i pastori recitavano canticchiando con voce calante questi poemi erano durante la mungitura, al mattino e alla sera.
Dopo qualche minuto dall’inizio della mungitura, quando le pecore erano iniziate a passare per essere munte e tutti avevano tra le mani le mammelle delle pecore, uno dei pastori iniziava a canticchiare le rime di un poema, dopo quattro/cinque minuti di questa cantilena veniva sostituito da un altro pastore e così via fino alla fine della mungitura. Con il passare dei giorni questa cantilena mi affascinava sempre di più e aspettavo con impazienza il momento della mungitura per ascoltare queste poesie. Stando fuori all’aperto, anche se di udito buono, non riuscivo a capire tutta la frase e allora mi accostavo per udire meglio tralasciando il mio compito. Chiesi molte volte al Vergaro di impiegare anche me come mungitore in quanto sapevo mungere le pecore, in modo che avrei potuto ascoltare con continuità e imparare anche io quei bei poemi. Il secondo anno di servizio il Vergaro per darmi soddisfazione mi disse che mi avrebbe messo a mungere le pecore e se alla fine della mungitura il mio secchio era pieno di latte mi avrebbe passato di qualifica. Ero contento e mi preparavo per superare l’esame. Un mattino il Vergaro mi fece mettere al posto di un pastore assente, ero emozionato e carico di energia, era il mio primo esame. Alla fine della mungitura il mio secchio era pieno, il Vergaro costatò il risultato e mi disse: sei idoneo hai superato la prova, hai l’abilitazione alla mungitura, ma siccome non si trova un altro “biscino” per sostituirti per il momento rimani “ biscino”. Rimasi biscino e dovetti ascoltare dal di fuori le recite dei poemi fatte dai pastori dei sibillini. Nonostante tutto riuscii a imparare qualcosa, uno dei pastori un giorno mi diede un libricino che trattava il poema intitolato “ La Pia dei Tolomei”. Non era il mio poema preferito ma dato che avevo solo quello lo iniziai a leggere e ne imparai a memoria più della metà.
Credo che la maggior parte dei pastori dei Sibillini abbia imparato questi poemi allo stesso modo con il quale iniziai io, giorno dopo giorno, una rima oggi una domani ripetuta all’infinito ti portava a imparare a memoria il poema preferito.