Miti e Leggende
Le signore dei Sibillini, tra arte divinatoria e magia
Donne e magia. Non si può negare che un'arcana potenza femminile ha governato questo fantastico luogo, con una straordinaria influenza sulla cultura locale
Nel cuore dell’Italia, a cavallo tra Umbria e Marche, sulle alture vertiginose dei Monti Sibillini, scopriamo un territorio magico di cui si è narrato in tutta Europa e che ha attratto schiere di illustri visitatori, cavalieri, poeti, scrittori, antropologi, negromanti, tutti giunti nelle viscere di questa terra per cercare sé stessi, la salvezza, la verità, l’incontro con i propri dèi e demoni.
Non si può negare che un’arcana potenza femminile ha governato e forse governa ancora questo fantastico luogo: Sibille, fate, profetesse, streghe hanno vissuto in questi monti ed è qui che la Sibilla dell’Appennino, donna esperta nell’arte divinatoria, ha avuto un grande impatto sulla cultura degli abitanti della zona. Nelle storie e leggende tramandate nei secoli, risiede infatti l’origine di molte credenze degli abitanti dell’Appennino umbro-marchigiano.
Con il contributo di Maria Luciana Buseghin, autrice de “L’ultima Sibilla”.
Cover foto: illustrazione di Francesca Greco
Tali credenze hanno generato abitudini e sono diventate tradizioni che si raccontano ancora oggi e sono presenti in numerose fonti orali raccolte dall’antropologo Mario Polia e prima ancora da Tullio Seppilli e dal suo gruppo di ricerca dell’Istituto di Etnologia e Antropologia culturale dell’Università di Perugia, già negli anni ’50, in collaborazione con Lilliana Bonacini Seppilli e Diego Carpitella. Anche la madre Anita Schwarzkopf Seppilli si è occupata a lungo di tradizioni sibilline ed ha lasciato un importante testo inedito, oltre al saggio scritto in onore di Furio Jesi , altro appassionato dei Sibillini, nel 1983: La tradizione della sibilla di Norcia e la profondità dei tempi. Ipotesi di un culto megalitico.
Al centro delle loro ricerche ci sono le tradizioni magico-rituali ancora vive nella dorsale appenninica tra Umbria e Marche: sia Seppilli che Polia hanno affrontato temi quali i saperi femminili in ambito terapeutico e divinatorio, l’efficacia simbolica e psicosomatica della fattura e del malocchio, delle tecniche per allontanarlo (“sfasciarlo, scantarlo”). Queste credenze, non ancora del tutto scomparse, risalgono al tempo in cui si praticava l’animismo e la divinazione. Secondo le leggende dei Monti Sibillini, gli esecutori dei malefizi erano sia gli spiriti diabolici del lago del Monte Vettore, sia le fate della Grotta del Monte Sibilla.
In un mondo tradizionale agro-pastorale popolato da lasciti della cultura pagana e magico-stregonica medievale, come erano i Monti Sibillini, queste tecniche e saperi, oltre a dover allontanare gli spiriti demòni, servivano a risolvere i problemi di ogni tipo, dalle condizioni del da togliere meteo ai problemi di salute; si viveva infatti isolati dalle città, in un ambiente rurale in cui lo stato di insicurezza e precarietà, generato dalla povertà, enfatizzava il ruolo della magia negativa, nella fattispecie del malocchio; potenziava il timore nei confronti della fascinazione e, soprattutto del potere proiettivo dell’invidia.
Ecco allora che le donne locali, le signore dei Sibillini diventavano come la Regina di quei monti, loro stesse magiche, forse meglio maghe. Conoscevano le erbe. Erano “sfasciatrici d’occhio”, praticavano l’arte divinatoria.
LE ERBE COME RIMEDI NATURALI
Le erbe potevano servire per guarire e prevenire malattie ma anche per proteggersi da negatività : per esempio la ruta e l’aglio sono terapeutici ma anche apotropaici cioè capaci di allontanare il male.
C’è un bellissimo libro di Mario Polia, “Le piante e il sacro. La percezione della natura nel mondo rurale in Valnerina” che riassume le principali erbe e piante e le loro usanze nella tradizione rurale.
Per citarne alcune, tra le “piante protettrici”, ossia le specie utilizzate come protezione dai malefici nei Sibillini, oltre l’aglio anche l’agrifoglio, il pungitopo, il ginepro, il timo serpillo, il finocchio, il corniolo, l’olivo benedetto, il nocciolo, l’ iride fiorentina, il grano, la saggina e il sambuco (usato anche come preventivo dell’aborto).
IL MALOCCHIO
Per guarire il malefizio, ossia per scantare l’occhio (scantare = scacciare), gli Etruschi ricorrevano alla dea Nortia; che aveva soprattutto il potere di inchiodare un malefizio per stornare il danno da un individuo o da un gruppo di persone o da animali.
Il potere di scacciare il malocchio, di togliere l’incantesimo, inizialmente era nelle mani dei maghi, di negromanti, degli stregoni e delle streghe che resero famosa Norcia con la loro somma arte; nel Medioevo Norcia era infatti famosissima e insuperata in Italia e in Europa, fiorivano celebri scuole di negromanzia, giungevano ad apprendere quell’arte, non soltanto maghi e negromanti, stregoni e streghe di buona o di pessima reputazione, ma anche persone dabbene e qualificate, come ad esempio i poeti Luigi Pulci e Fazio degli Uberti.
Le leggi nursine sui malefizi, a lungo andare attenuarono l’attività dei maghi e dei negromanti ma il popolino non perse la tradizione, servendosi di donne che avevano la “virtù”; donne nate col potere di guarire il male, oppure di persone a cui qualcuno avesse trasmesso loro, in punto di morte, il potere di scacciare il malocchio.
Che cos’è veramente il «malocchio?» È un potere privato delle streghe? No. Il malocchio è un po’ tutto. È un malefizio, una maledizione, una affatturazione che chiunque può fare, anche a sua insaputa, anche senza essere stregone, con un’occhiata, con un sorriso, con un saluto – Racconta Mario Polia.
Il Malocchio consiste quindi nel potere dello sguardo di produrre effetti sulla persona osservata; tale effetto può essere nella maggior parte dei casi negativo, come portare malasorte su persone invidiate o detestate, o più raramente positivo, ad esempio garantendo la protezione della persona amata. Alla base del malocchio sta l’invidia; i sintomi del sono principalmente gli stessi: la persona “con gli occhi addosso” prova un senso di malessere fisico e mentale, accompagnato da spossatezza, emicrania, si sente nervosa e ansiosa senza un apparente motivo.
Nei Monti Sibillini oggi non c’è quasi più traccia delle “sfasciatrici d’occhio”; la civilizzazione, la modernità, la medicina, stanno cambiando le abitudini e le tradizioni.
Questa è sicuramente una grande perdita per il patrimonio culturale dei Sibillini. È d’accordo anche Don Stefano Felicetti, uno dei parroci più amati dalla comunità di Castelluccio che servì dal 1976 al 1996.
«Penso che ormai le ragazze e i ragazzi non sanno nemmeno più come si “sfascino” il malocchio e l’occhio”, come dicono qui» >. È la fine di un vecchio mondo?
«Sì, penso che tra qualche anno sarà così…>>. Nostalgia?
«Non lo so… Certamente dal punto di vita folcloristico-culturale della vita del paese, può esserci un po’ di nostalgia. Però potrei dire anche un’altra cosa, e questo è un fatto negativo… Potrei dire che sta scomparendo una certa religiosità, chiamiamola così “tradizionale”, ma senza che la sostituisca una religiosità nuova, più impegnata, più autentica….
«Probabilmente il benessere sta facendo piazza pulita di queste forme di religiosità tradizionale, perché oggi come oggi, se un trattore non funziona, non si va più dalla donna che gli sfascia “l’occhio”, ma da un meccanico… E se si soffre di mal di testa, si cerca di capire il perché…». Certe forme di condotta magica, di quella che chiamano religiosità precristiana, sono l’inconsapevole salvaguardia di un patrimonio culturale.
Conversazione presente in “Il Paradiso del Diavolo” di Ennio De Concini e Mario Polia.
Se sei anche tu appassionato di miti e leggende legati ai Monti Sibillini e hai un racconto o un saggio da proporci, scrivici qui: info@magicmountains.it. Saremo felici di leggerti e pubblicare il tuo pezzo sul nostro blog Sibillini Stories.