Immaginare il futuro
I misteri della Sibilla come missione: la vita di Domenico Falzetti
Musicista, archeologo e alpino: la storia di Domenico Falzetti è ricca di avventure, legate da un filo comune, l'amore per l'esplorazione dei Monti Sibillini
Domenico Falzetti era un nursino della montagna, appassionato dei territori che gli diedero i natali così tanto da arruolarsi in gioventù come alpino e fu per tutta la sua vita un fedele seguace della Sibilla Appenninica; possiamo dire che fu quasi la missione di una vita, quella di avventurarsi tra queste montagne per scoprirne e custodirne i segreti.
Cover foto di Federico Papi
Era il 13 agosto 1920 quando Falzetti si avventurò con alcuni amici e un pastore come guida in una delle esplorazioni che fu tra le più significative per quanto infruttuose della sua vita: in questo primo viaggio riuscì solo a verificare l’esistenza di un piccolo cunicolo tra i Sibillini, che segnalò con l’inchiostro su una lapide, attestando la visita a quella grotta.
In uno dei suoi scritti, del 1954, richiama per la prima volta il nome di Pio Rajna; fu un suo saggio del 1912 ad incuriosirlo prima di tutti, ad entusiasmarlo sui misteri della Sibilla:
«Il suo racconto, infatti, suscitò entusiasmo in Umbria e nelle Marche, dove tutt’ora il nome del Rajna è ricordato con venerazione»
Dall’anno seguente inizia la vera e propria corrispondenza con Rajna, che d’ora in poi diventerà il suo punto di riferimento, una costante nelle sue esplorazione dei Sibillini. A Pio Raja, Falzetti scriverà con costanza e dedizione, chiederà consigli e suggerimenti non solo per la missione privata e personale di ascensione alla Sibilla, ma anche per la sua idea di rivalorizzazione del territorio, forse sarà proprio tra i primi infatti a voler fare propaganda e stimolare entusiasmo e ricerche.
Nell’agosto 1925 Falzetti è pronto per una nuova spedizione, di cui scrisse un articolo pubblicato nell’ottobre successivo e che mandò a Rajna, accompagnato da un resoconto e da alcune foto, che ritraggono proprio l’ingresso della tanto famosa grotta. Ma proprio qualche giorno prima della partenza fu Rajna a scrivergli:
Seguiva i miei sforzi, da Sondrio, Pio Rajna, il quale, il 30 luglio, e cioè qualche giorno prima che io partissi per il Monte Sibilla, mi scriveva: «Mio caro signore, lo accompagnerò col desiderio, e desiderosamente aspetterò di conoscere l’esito quassù […].
Nel 1927 arriva un momento importante per Falzetti: l’ottenimento dell’assistenza e di un finanziamento da parte del Ministero Antichità e Belle Arti per spedizioni e scavi sui Sibillini. E in questo momento non può che chiedere il conforto di Raja, a cui scrive anche per essere supportato nel progetto che ha in mente. Nell’8 luglio 1927 scrive all’ormai amico:
La prego, senatore, di appagare questo mio vivissimo desiderio, giacché la sua presenza la giudico indispensabile ai fini della serietà dell’impresa. Poiché, con tutta schiettezza le confesso, che nonostante l’entusiasmo evidente del Ministero e l’apparato di tante dotte persone resto scettico sulla serietà dell’azione reale, della vera opera di scavi: temo, in una parola, che tutto si risolva in una pura e semplice passeggiata turistica, magari con qualche nota reclamistica sui giornali.
Nel 1930 cominciano i preparativi per l’esecuzione degli scavi, che però nonostante tutte le buone intenzioni e gli sforzi di Falzetti
e dei suoi compagni non raggiunse i risultati sperati. Era possibile che degli scavi più recenti avessero di nuovo reso l’entrata della grotta impraticabile, l’unica cosa visibile era una grande fosse a forma di imbuto. Qualche amico ci scherzava su dicendo che era la volontà della Sibilla ad ostacolare così tanto il suo lavoro, non voleva essere disturbata e si divertiva a smuovere il terreno per impedire di far trovare il suo magico Paradiso. Il gruppo si impegnò comunque a ripulire l’ingresso e a cercare il fondo del cunicolo e Falzetti si occupò di mappare più accuratamente quel luogo. Il giorno dopo l’esplorazione, seguendo le indicazioni di un pastore, tal Fiore Quintozzi, Falzetti si mette in cammino per esplorare un corridoio che sembrava essere stato scoperto nel 1927 da pastori e operai che lavoravano per l’impianto idroelettrico di Montemonaco.
Stando alla descrizione del Quintozzi, il corridoio, stretto ed angusto all’entrata, era grandissimo subito dopo. Vi si poteva camminare speditamente data l’ampiezza del corridoio; ogni trenta metri vi era uno scalino di due metri di altezza. Egli e i suoi compagni vi si inoltrarono per un buon tratto, e non videro la fine del corridoio che saliva in direzione della cima del M. Sibilla. Andati sul posto per verificare, trovammo l’entrata ostruita. Il pastore c’indicò allora la “finestra” del corridoio: una fessura triangolare sita nella roccia, a cento metri sul fiume aso. la fessura è lunga una diecina di metri e verso l’interno si
restringe tanto che il solo prof. Desonay il più piccolo fisicamente tra i componenti del Gruppo potè spingersi avanti. Potè così constatare che effettivamente un piccolo foro dava aria ad un vuoto interno.
Il Falzetti, anche in vista di un articolo sul “Messaggero”, chiese aiuto al cav. G. Fioranelli di Montemonaco che gli scrisse che
a Montemonaco nulla si sa di questa seconda entrata e non se ne è parlato mai e si esclude che possa avere relazione con la grotta della “corona” poiché la distanza di parecchie centinaia di metri farebbe supporre che la montagna dovrebbe essere quasi tutta vuota; ciò che si ritiene impossibile.
Ed era vero. Abbiamo infinite prove di come anche grotte lontanissime dai Sibillini fossero indicate come grotta della Sibilla, pur non avendo assolutamente nulla (né caratteristiche o verosimiglianze) con la Sibilla Appenninica.
Passarono più di vent’anni da quel momento e Falzetti in questo tempo coronò la sua carriera di musicista compositore e direttore d’orchestra, ma ovviamente l’amore per la Sibilla restò sempre immutato. Si dedicò anche alla sua stesura del suo libro, un saggio dedicato alle leggende di Monti Sibillini, e un romanzo ispirato alla leggenda del cavaliere che si reca alla grotta della Venere
seduttrice.
Finalmente, il 1 luglio 1953, Falzetti ritorna alla grotta della Sibilla, con una spedizione diretta dl prof. Giovanni Annibali, soprintendente
alle antichità delle Marche. Lo stato della grotta in quel momento fa ripensare il Falzetti alla descrizione del Guerin Meschino di una grotta con quattro entrate che si riuniscono in una e in un punto da lui indicato come possibile altra entrata, effettivamente furono rinvenuti i resti di «una gran volta, della quale rimaneva, avanzo sbreccato, quel tratto di volta d’angolo che ricopriva quello che si riteneva fosse il vestibolo della grotta».
Ma soprattutto è in quel momento che Falzetti sente le sue convinzioni farsi sempre più salde, che quella grossa, come lui stesso dice veramente immensa sia stata sede di un culto, un oracolo sacerdotale e un oracolo millenario:
Ricordo che anche per la grotta di Cuma lo scetticismo regnò sovrano per parecchi secoli, eppure gli scavi ridicolizzati in principio, alfine ebbero pieno successo. che la stessa cosa abbia a ripetersi per la grotta del Monte Sibilla.