Non ci avevo mai pensato prima, ma quello che mi ha legato a queste Montagne fin da piccola è stato sempre il Racconto. Io non ne ho un’esperienza diretta; non le ho attraversate, volate, esplorate, conosciute davvero se non attraverso i racconti della Montagna che mi hanno sempre circondata. Mio Nonno è praticamente vissuto su questi monti, dove andava per lavoro a vendere mangimi ogni giorno, conosceva tutti in ogni paese e passava lì tutto il suo tempo libero, il suo tempo più bello. Lo chiamavano quando c’era da bucare le mucche: perché se mangiavano un certo tipo di erba, queste mucche potevano gonfiarsi fino a scoppiare. E mio Nonno sapeva dove forare per far uscire l’aria. Dalla Montagna tornava con ceste piene di funghi di ogni tipo perché lui li conosceva e io passavo le serate con mia nonna a pulirli intorno al tavolo, scuotendoli e battendo il Cappello con il coltello. Guai a spellarli! Le mie preferite per i colori erano le Russole; me lo ricordo ancora l’odore di bosco, un misto di muffa, di bagnato e di selvatico. E poi c’era Mamma che quando ero piccola andava a vendere la biancheria su queste montagne, biancheria bellissima, perché in quanto a gusto, non c’era molto da insegnare alle donne che le aprivano le loro case. Le cose belle le riconoscevano d’istinto. Tornava d’inverno che era buio e mi ha sempre raccontato di una sera che con il gelo, la valle risplendeva sotto la Luna piena di tutti i riflessi, conosciuti e non, dell’azzurro e dell’argento. Non mi diceva che aveva avuto paura di uscire di strada con la macchina, era un dettaglio sacrificabile, le interessava la Magia. Anche oggi infatti mi ha raccontato un ricordo bellissimo: camminando al buio di sera per le vie deserte di Castelluccio, da sola, sentì due persone sbucate anche loro da qualche angolo dire: “Si è aggiunto un passo”. E senza vedersi andarono insieme per un po’, mescolando i passi nella notte.
Se non sono racconti magici questi?
- A cosa ti sei ispirata per realizzare questi disegni?
Ho sfogliato molti libri, ma due sono stati quelli a cui ho guardato con più attenzione, non tanto per trovarci qualcosa da usare, ma per prendere bene le misure e restarne a distanza. Sono rispettivamente “Fate” di Froud e Lee, e “A est del Sole e a Nord della luna- vecchi racconti dal Nord” illustrato da Kay Nielsen. Intendiamoci bene sono libri che adoro, ma come dice bene l’ultimo titolo appartengono a un immaginario Nordico e lontano, estremamente raffinato ed evanescente, lineare e svolazzante, adatto alle brumose foreste nere, alle brughiere piene di muschi e licheni di isole lontane spazzate dai venti. Queste storie invece sono vicine di casa: alle fate di eccezionale bellezza ed esperte nell’arte della Danza “… je scrocchiano li piedi come le capre” e la loro corsa precipitosa sul crinale della Montagna per rientrare alla corte della Sibilla, è tanto possente e frenetica da lasciare un segno indelebile nella terra che si vede ancora oggi. La magia scalfisce la Montagna, ne cambia la forma, con la forza di un evento geologico. Non se ne vanno via svolazzando qua e là, né usano nascondere i piedi caprini dentro fatate scarpine di cristallo abbandonate per la fretta sui gradini di qualche palazzo. La magia che è all’opera qui è legata alle forze della natura, alla misteriosa figura della Sibilla da cui devono tornare che abita la grotta nel cuore della Montagna; è una magia che ha radici profonde nel tempo e nello spazio e si ancora nella terra: una sorta di “magia applicata “ al quotidiano, tellurica, in grado di addomesticare erbe e animali con fini più o meno pratici; in qualche modo i sui voli pindarici in questa area geografica squassata dai terremoti, sono trattenuti a terra dalla necessità di offrire rimedi ai problemi concreti. E la Sibilla, la signora di tutte le fate è dimora della conoscenza non svelata che i cavalieri vogliono farsi rivelare e delle leggi di natura che i maghi vogliono padroneggiare e di forze oscure e diaboliche, remote come questi luoghi, che i negromanti vogliono esercitare. Per questo mi ha fatto pensare alla figura antica dell’ Oracolo e ancora di più alla spaventosa figura di donna seduta di cui Leopardi scrive nel “Dialogo della natura e di un islandese”.
È proprio a partire dal mio modo di immaginare questa figura della madre Natura, terribile e neutra che ho costruito la figura della mia Sibilla: l’islandese che andava fuggendo la natura per il mondo, finisce per incontrarla; “… trovò che era una forma smisurata di donna seduta in terra, col busto ritto, appoggiato il dosso e il gomito a una montagna; e non finta ma viva; di volto mezzo tra bello e terribile, di occhi e di capelli nerissimi; la quale guardavalo fissamente” .
E infatti è proprio la natura l’elemento più importante a cui ho fatto costantemente ritorno dopo aver immaginato i miei disegni. Ho guardato molte foto di queste Montagne, delle erbe, delle piante e degli animali che ci crescono e vivono: mi sembrava necessario radicare le illustrazioni in un contesto preciso e riconoscibile, anche se trasfigurato dal mio modo personale di vedere il mondo e rappresentarlo.
- Qual è la tua leggenda / personaggio preferito delle storie dei Sibillini e tra i disegni che hai realizzato?
Da piccola avrei risposto a questa domanda senza incertezze: adesso che sono cresciuta (solo un po’) non riesco mai a trovare un preferito, in nessun caso. Stavolta è ancora più difficile: a volte penso che i disegni della favola “L’Orso e il Bambino“siano i miei preferiti, perché da un punto di vista tecnico li trovo molto convincenti e quando li ho realizzati ho capito che la strada che avevo scelto per affrontare questo progetto era quella giusta.
Mi piace che ad ogni storia corrisponda uno spettro di colori : qui il buio, il nero del cielo, dell’antro della Sibilla, del manto dell’orso che è una Montagna fra le Montagne si oppone al bianco del bambino, al pallore della luna e della pelle della maga, delle nuvole. E poi c’è l’oro che spunta qua e là e avvolge tutto con l’aura del sortilegio, spingendo realtà e immaginazione sull’orlo dei rispettivi piani, mescolando tutto. L’oro è un colore che toglie peso, toglie carne, spinge tutto verso l’astrazione, almeno per me. È un colore magico.
Poi però devo fare i conti con l’Istrice che ho inserito nella favola dei Mazzamurelli: l’Istrice è un animale magico, quasi irreale e mitologico, con quella poderosa e ondeggiante armata di spine che si trascina dietro continuamente. È anche il simbolo della mia magia: il potere magico dell’illustratore che può fare Abracadabra con i pennelli e creare una dimensione nuova per ogni racconto che viaggia oltre le parole. Ad aggravare la situazione, nel libro il mio disegno è affiancato da una citazione di J.R.R Tolkien e questo è un desiderio che si avvera. Niente di meno è Gandalf a dire che è nei piccoli atti di amore, ordinari e quotidiani che risiede il potere di tenere lontana l’oscurità.
Ma forse la mia favola preferita è quella delle Faterelle, perché celebra la magia nascosta nella Capacità del Fare, del Raccontare, del Tramandare. Scendono a valle per praticare il corpo attraverso la danza e tentare i valligiani radunati intorno al fuoco: è un simbolo potente quello del fuoco, ancestrale, primigenio; dominarlo e padroneggiarlo è forse stato il più alto incantesimo degli uomini, la nostra magia più grande. E in questa favola si parla di tessitura, di fili che si intrecciano e rappresentano la continuità del tempo, l’arte della trama e dell’ordito e quindi in fondo quella del racconto. Allora posso di sicuro dire che quello che preferisco di questo progetto è che si sia scelto il Racconto come strumento di rinascita per un territorio duramente colpito, per dargli la possibilità di riqualificarsi, ridefinirsi e trasformare se stesso ancora una volta.
Non si sa bene cosa significhi veramente, ma tra le tante ipotesi, la formula magica per eccellenza ABRACADABRA in aramaico vuol dire “creo ciò che dico”.